IPOGEO 6
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Le opere
sembrano essersi scelte da sole nell’allestimento di questo ipogeo
recuperato, come il VII, nel 2010, e ricco di anfratti, cunicoli,
finestre cieche ricavate, nel corso dei secoli, tra spuntoni di roccia. |

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Più
generazioni per nuove tecniche d’immagine della contemporaneità,
materiali diversissimi, temi, si sommano gli uni agli altri
soffermandosi sugli Occhi di Luisa Gardini (Ravenna 1935) e sulla Structure Noire et Rouge di Ania Borzobohaty (Parigi, F, 1972), aprendosi all’ Astro della sera e alla Tavola del tempo di Walter Valentini (Pergola, PE, 1928), subito incalzati dal Codice spaziale di Carlo Bernardini (Viterbo, RM, 1960) e da Gregorio Botta (Napoli 1953) con A che punto è la notte dove la fibra ottica e il rifugio di antiche memorie, tra le quali la luce, si fanno forma.
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Nulla è
casuale in questi titoli e neppure solamente poetico.Ognuno rimanda a
un particolare linguaggio, frutto di ripensamenti del passato
(costruttivismo, astrattismo, informale, pop art, minimalismo,
concettuale) e di ricerche sull’oggi: la Stele II o le Antiche mura di Alberto Ghinzani (Valle Lomellina, PV, 1939), la Construction di Emmanuele De Ruvo (Napoli 1983), il Segno nel quadrato e il Fiore di Aldo Calò (San Cesario, LE, 1910 - Roma, 1983), il busto in resina di Barbara Salvucci (Roma 1970) che restituisce in trasparenza memorie di antichi tessuti, il Rudere romano e la Stele I di Roberto Ruta (Tulcea, RO, 1912 - Roma 1994), l’intenso frammento di basalto nero di Graziano Pompili (Fiume, HR, 1943), ricomposto in un emblema collocato fuori del tempo, teso verso l’assoluto.
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