IPOGEO 3
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Nel terzo ipogeo si manifesta in tutto il suo splendore la perfetta simbiosi tra contenitore e contenuto, tra un sito denso di millenaria memoria e le forme della scultura contemporanea, tra ciò che è stato ricavato scavando nel tufo e ciò che è stato realizzato dagli artisti d’oggi esaltando le qualità intrinseche delle materie, tufo compreso.
Le due colonne e la natura morta in legno sono di Tito Amodei (Colli al Volturno, IS, 1926). Riemerse dagli abissi della memoria, lentamente sottratte alla semplicità figurativa, vengono ricomposte con plastica musicalità in leggere geometrie di forme librate nell’aria, in uno spazio magico da cui attingono la presenza sacra che le sostiene e rimanda ad alcune tradizioni popolari del Sud nella Domenica delle Palme. |
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Le tre immagini fantastiche che dialogano con le opere di Tito sono di Maria Lai
(Ulassai, NU, 1919 - Cardedu, OG, 2013). I pani, i lavori cuciti, i telai (strumento sardo per
eccellenza) nascono dalla rielaborazione di fiabe, leggende e rituali
della propria terra, scaturiscono dalla reinterpretazione di gesti
ancestrali degli antichi mestieri: l’instancabile correre avanti e
indietro dell’ago-telaio sul tessuto, dell’aratro sul campo, della penna
sul foglio, tragitti dove non si distingue la partenza dal ritorno.
Nella scultura Sa domo de su dolo - La casa del dolore, 2002, è rappresentato il pane che lievita insieme al dolore e alle lagrime. La Torre,
1971-2002, costruita con tutto ciò che resta di un telaio, è una
struttura sospesa tra la terra e il cielo, un osservatorio verso nuovi
universi possibili.
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A questo dialogo assiste la scultura di Nino Rollo
(Lecce, LE, 1942 - Parigi, F, 1992), che sembra rompere drasticamente
con il passato e subito si contraddice con la scelta del calcare nero
calabrese, un modo per affondare le radici nella terra ripercorrendo in
lungo e in largo la forma tesa in un abbraccio conoscitivo senza
confini.
Proseguendo lungo l’ipogeo, su un settecentesco palmento, possiamo
ammirare l’estro, la libertà espressiva, l’inconfondibile talento di Sebastian Matta
(Santiago del Cile, 1911 - Tarquinia, VT, 2002), fondamentale
protagonista dell’arte del ‘900. Le forme, i colori, le decorazioni di Innaffiare il linguaggio e L’origine è adesso illuminano questi luoghi con un guizzo surreale e altamente poetico.
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All’interno
dell’ipogeo, un’altra serie di opere ci dà un’idea precisa di ciò che è
una costante della scultura contemporanea: l’attenzione particolare ai
materiali, alla loro capacità di suggerire la forma, di essere usati con
intenti prevalentemente strumentali o di diventare vero e proprio mezzo
di dialoghi muti.
Nel travertino, materiale tipico del paese d’origine di Giuliano Giuliani
(Ascoli Piceno 1954), è stata scavata, ai limiti della rottura, una
vasca. Il massiccio marmo viene trasformato in una sottilissima lamina
dalle forme squadrate. È una sorta di escavazione personale, di
tormentata ricerca del grado zero della materia che viene ferita e
risanata, raffigurando soltanto trasparenze, veli, fantasmi, feritoie di
luce e anfratti profondissimi d’ombra in cui conservare un’idea antica
di scultura.
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Un’idea già messa in risalto da Gastone Novelli
(Vienna, A, 1925 - Milano1968) nella grande e nella piccola Montagna
dove un evidente interesse per il new dada prima e per la Grecia poi
porta a indagare il magma terrestre e le forme che ne derivano,
germinate naturalmente con il loro carico di segni e figure primordiali.
L’operazione concettuale che Bianca Nappi (S. Domenico Talao,
CS, 1947) fa sul calcedonio è quella di lavorare sulla “casuale
perfezione” delle forme e dei colori naturali estraendo, attraverso un
sapiente uso di pigmenti ed elementi chimici, l’intima spiritualità
della materia..
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E l’atmosfera ascetica di questi luoghi si fonde perfettamente con
l’opera di Eliseo Mattiacci (Cagli, PU, 1940), riconosciuto
protagonista, insieme a Pascali, del rinnovamento della scultura
italiana tra la fine degli anni ‘50 e gli inizi degli anni ‘60. L’arte
di Mattiacci è di ispirazione astronomica, siderale, le sue opere
appaiono come antenne che aspirano a captare l’energia del cosmo
inseguendo l’orbita dei pianeti.
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La volontà di sconfiggere la forza di gravità è il sentimento primigenio che appartiene, anche, ad uno scultore come Roberto Almagno
(Aquino, FR, 1954). Il legno è il suo materiale preferito: lo lavora,
lo piega, lo colora come fosse ferro. Le sue sculture nascono nei boschi
dove raccoglie tralci e pezzi di legno, ne elimina la superficie
esterna e li forgia con il fuoco e con l’acqua, tanto da tramutare la
materia in entità priva di peso che lascia nella coscienza solo un’eco
irriconoscibile della sua iniziale presenza terrena.
Terra, acqua e fuoco si incontrano anche nei bassorilievi, in terra
bianca e rossa, o nelle piastre in terracotta di Enrico Pulsoni (Avezzano, AQ, 1956), collocati sul fondo o che fuoriescono da un’antica cisterna.
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