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SALA 2 |
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A Medardo Rosso e Duilio Cambellotti succede, dunque, Arturo Martini intorno al quale cresce una schiera di discepoli che, pur facendo tesoro degli insegnamenti di un così grande maestro, sapranno, in seguito, trovare nuovi e caratteristici linguaggi espressivi.
Questa sala presenta cinque artisti di origini e provenienze diverse: Raimondi, Mascherini, Greco, Mazzulo e Tavernari, Cinque differenti personalità che hanno saputo assimilare bene la lezione di Martini, sviscerando, attraverso personali scelte stilistiche, la loro soggettiva ispirazione.
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I due bronzi di Marcello Mascherini (Udine 1906 - Padova 1983), di cui abbiamo già potuto ammirare Figura Jonica
nel secondo cortile, documentano due distinte fasi del suo percorso
artistico. A fronte delle evidenti diversità compositive è, comunque,
indiscutibile la capacità di Mascherini di saper infondere nell’opera,
grazie al suo innato istinto poetico, “quanto di misterioso racchiude
ogni cosa creata dalla natura”.
Anche in Vittorio Tavernari (Milano 1919 - Varese 1987) e in Giuseppe Mazzullo (Graniti, ME, 1913 - Roma 1988) è costante l’interesse per la figura umana.
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I Torsi
di Tavernari sono forme ridotte ad una vibrante essenzialità ed
ammantate di luce silenziosa e spirituale. Un identico desiderio di
essenzialità si rintraccia nel granito di Mazzullo. Da queste scabre
sagome trapela il sotterraneo rapporto di amore/odio dell’artista con
l’elemento naturale: “la pietra, qualche volta, è generosa fino
all’inverosimile - ci ricorda Mazzullo - ma quasi sempre è avara,
ostile, nemica, ed allora bisogna giocare d’astuzia, essere temerari,
brecciandola, con colpi dosati”.
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L’eredità di Arturo Martini è evidente nelle due sculture in terracotta di Mario Raimondi
(Torresina, CU, 1899 - Vado Ligure, SV, 1953) da cui emerge chiara,
pur nell’indubbia connotazione personale, la lezione del grande maestro.
Presentata al pubblico per la prima volta alla Seconda Quadriennale di
Roma nel 1935, l’opera (custodita dal collezionista Massimo Severo
Giannini) da allora non era mai stata esposta. La donazione al MUSMA ne
ha consentito l’opportuna riscoperta.
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Al centro della sala è collocata La grande figura accoccolata, in gesso patinato, di Emilio Greco
(Catania 1913 - Roma 1995). La figura femminile è la sua musa
ispiratrice, analizzata e rappresentata con straordinario spessore
psicologico; le sensuali torsioni caricano le forme di elegante purezza,
di profondo sentimento umano, di sublimato erotismo. Sul fondo, a destra, Il fante morente di Domenico Rambelli
(Pieve Ponte, RA, 1886 - Roma 1972) ci riporta ai primi del Novecento.
Il ritratto, dall’austera e gagliarda eloquenza stilistica, tipica della
scultura tra XIX e XX secolo, riflette correttamente il clima
socio-culturale europeo tra le due guerre mondiali.
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