SALA 5
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Spicca, entrando nella Sala 5 il segno aereo e fantastico di Idea di Ernesto Porcari (1998-1999) (Norma, LT, 1951) affiancato all’Idea (1964) di Edgardo Mannucci (Fabriano, AN, 1904 - Acervia, AN, 1986).
La seconda guerra mondiale, in particolare lo scoppio della bomba di Hiroshima, segnò a tal punto l’animo di Mannucci da condizionare un linguaggio artistico che fino a qual momento si era mosso solo in ambito figurativo. L’artista, da quel momento scelse di infondere energia, movimento a grumi, scorie, detriti bruciati, chiaro riferimento alla catastrofe generata dall’ordigno nucleare: è così che nasce il ciclo di opere intitolato “Idea”.
«Quando sono ritornato a casa, mi sono messo subito a lavorare, ho fatto un ritratto a mia moglie, un ritratto a mia figlia, ma tutto questo non mi diceva ormai più nulla, non era una “verità”»
Pur molti anni più tardi, è sempre l’astrattismo a determinare la nascita di Idea di Porcari, in bilico tra equilibrio e crollo, tra il volersi ancorare alla materia e il volerla dissolvere.
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Nella vetrina
tre preziose, piccole, sculture appartenenti a tre corpi di donazioni diversi:
La Tuffatrice (1974) di Jorio Vivarelli
(Fognano, PT, 1922 - Pistoia, 2008) donata da Maria Pia e Luigi Lambertini, Segno 4 (1964) di Guido Strazza (Santa Fiora, GR, 1922) donata dall'artista
stesso e Bomboniera per Vanni e Alina (1980)
di Fausto Melotti (Rovereto, TN, 1901 - Milano, 1986).
Celebre per le sue opere di grandi dimensioni collocate in diverse pari del
mondo, Vivarelli si muove nel solco della tradizione cinquecentesca di Giambologna, Ammannati e Cellini e
novecentesca di Fazzini, Greco e Mascherini.
I rapporti di collaborazione di Fausto Melotti con la famiglia Scheiwiller risalgono agli anni Quaranta. Nel 1944 Giovanni Scheiwiller pubblicò, infatti, Il triste Minotauro, una raccolta di disegni e poesie dell’artista roveretano. Ed è dalla felice amicizia con il figlio Vanni, ideatore della collana “All’insegna del Pesce d’Oro” che nasce la Bomboniera per Vanni e Alina. Con un semplice gesto Melotti disegna la A di Alina, la V di Vanni e il pesce, simbolo de “All’insegna del Pesce d’Oro"
“Un gesto con cui percorro lo spazio in un istante”: è il segno, fedele compagno delle opere di Guido Strazza, che ha assorbito la lezione di Marinetti, Lucio Fontana, Piranesi per elaborare il suo personalissimo linguaggio, basato appunto sullo studio del segno e sulla sua interazione con lo spazio e con le reazioni dello spettatore.
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Alle pareti Cavalli (1963) di Marino Marini (Pistoia, 1901 – Forte dei Marmi, LU, 1980) e il ritratto del maestro pistoiese immortalato dallo sguardo di Aurelio Amendola (Pistoia, 1938).
“Non si sa neanche noi come nasce un’opera d’arte”- racconta Marino in un’intervista – “perché noi siamo come dei camaleonti, si prende, si prende, ci si ingravida delle cose che noi vediamo, possono essere cose reali, immaginative, di uno stile o di un altro, possono essere contatti umani, tutte queste cose che noi vediamo fanno ricchezza in noi e questa ricchezza esce a un certo momento”
Uscendo dalla sala, sulla sinistra, Relazione di dispersione, del fotografo Luca Centola (Matera, 1974) una sequenza fotografica realizzata nelle Saline di Margherita di Savoia: quattro scatti che rimandano all’idea di smaterializzazione e ri-materializzazione dell’energia umana e naturale.
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