IPOGEO 5
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L’allestimento
dell’ipogeo più grande di Palazzo Pomarici, e degli altri che
seguiranno, ci dà l’opportunità di approfondire l’itinerario
storico-culturale fino a questo momento costruito: il confronto
generazionale e il rapporto tra scultura e spazio, variabile a seconda
degli ambienti in cui le opere sono state collocate. |
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Gli ipogei,
infatti, sono diversi l’uno dall’altro e alcuni, come questo, sembrano
scendere nel cuore di Matera, lì dove arde, visibile dall’ingresso, il Focolare in terracotta di Nanni Valentini
(Sant’Angelo in Vado, PU, 1932 - Vimercate, MB, 1985).
Ciò che
Valentini chiamava il rimbalzo continuo fra la pittura e la ceramica,
tra l’apparenza e la certezza, tra il visibile e il tattile, ovvero i
fondamenti del linguaggio, qui si coagulano in un sentimento di attesa
dell’invisibile che fa tutt’uno degli elementi di continuità venuti
fuori tra un ipogeo e l’altro. Ritroviamo, intanto, un esponente della Scuola di New York, Wilfrid Zogbaum
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(Newport, GB, 1915 - New York, USA, 1976), con la sua Endeavour Shoal, opera del 1964;una personalità di spicco della storia dell’astrattismo italiano (l’ “Art Club” di Enrico Prampolini) come Michelangelo Conte (Roma 1913 - 1996) e di suo figlio Bruno Conte (Roma 1939); un maestro ingiustamente dimenticato come Enrico Accatino
(Genova 1920 - Roma 2007), in due momenti della propria ricerca
tridimensionale basata sulla “circolarità”: cerchi, dischi, mandala
declinati attraverso Opposizione e sintonia (1971) ma senza mai abbandonare alla corrente Il remo dell’anima (1990).
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Il rappresentante più illustre della scultura peruviana contemporanea, cresciuta a contatto con quella europea: Joaquin Roca-Rey
(Lima, PE, 1923 - Roma 2004) la cui indagine formale, tra mito e
ritualità, ha saputo cogliere il meglio del linguaggio moderno. In Amatotum,
del 1974, liberatosi dell’involucro preincaico di magia e ritualità
attraverso il confronto con Roma antica e Roma seicentesca, il totem
viene elevato a simbolo dell’identità tra uomo e cosmo; le forme nitide
di Lydia Silvestri (Chiuro di Sondrio, 1929), già a Matera con Andrea Cascella, e la sua misteriosa ambigua sensualità. |
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I tre bronzi di Giuseppe Pirozzi
(Casalnuovo di Napoli, 1934) che nell’elaborazione del barocco trovano
La ragione di un sogno; l’astronave di Luisa Valentini (Torino 1954),
apparentemente abbandonata sul bordo della vasca eppure carica di
energia pronta ad esplodere; ancora due testimonianze di Cloty Ricciardi (Roma 1939) e Lucilla Catania (Roma 1954), già incontrate all’inizio del nostro percorso. Infine, Paolo Radi (Roma 1966) e Antonella Zazzera
(Todi, PG, 1976), delle generazioni più vicine, entrambi portati ad
indagare nelle materie (fili di rame, pellicole in silicone, plex
satinato) per un linguaggio teso verso forme minimali ma non
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prive di
armoniche potenzialità narrative.Prima di affrontare le scale per uscire, sulla destra, in un piccolo
pozzo, i Fiori di plastica, severi e semplici, di Guido Strazza (Santa
Fiora, GR, 1922), del 1966, rendono evidente la crisi ormai avvenuta
nella situazione artistica italiana, lontana dalle fonti culturali più
facilmente indicabili (Gonzales, David Smith, Colla, Cruz Diez) e
perfettamente inserita nel lavoro sperimentale sul segno portato avanti
in Calcografia tra il 1964 e il 1966 attraverso immagini stampate su
carta, doppiate e trasferite su schermi mobili trasparenti di materia
plastica (capolimero, clorulo, acetato di vinile). |
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Scrive Strazza:
“Facendo sculture, non ho fatto altro che far segni come in realtà
faccio e ho sempre fatto; e posso dirlo se penso al segnare come
risposta al richiamo di un fulmineo riconoscere qualcosa che nessuno
prima aveva visto, non c’era, e d’improvviso c’è, si fa presenza
assoluta e luminosa”.
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